Allattamento al seno

Allattamento al seno

Il latte umano rappresenta l'alimento base del bambino durante i primi 6 mesi di vita e, in forma complementare, fin oltre il secondo anno di vita. Come ogni altro cibo è costituito da alcuni elementi nutritivi fondamentali che per le loro proprietà concorrono a caratterizzarlo dal punto di vista nutrizionale. Il latte materno può essere considerato il più adatto all'alimentazione della specie umana in quanto offre diversi vantaggi. Oltre alla variabilità di composizione, che garantisce a ogni bambino il cibo che risponde alle sue esigenze (diversamente dal latte artificiale sempre invariato nel gusto e nella concentrazione) sono importanti le sue caratteristiche nutrizionali: le proteine sono tali per quantità e qualità da rispondere alle esigenze metaboliche del lattante. Il lattosio ha la duplice funzione di proteggere il bambino dalle infezioni e di fornire energia e materiale da costruzione al cervello. Il latte materno, poi, garantisce un migliore assorbimento dei grassi e un più efficace assorbimento di ferro; inoltre favorisce un minor carico di minerali al rene, quindi un minor rischio di disidratazione. Va considerato anche il calibrato contenuto in vitamine, essenziale per la crescita del neonato.

I vantaggi del latte materno

Il latte materno è l'alimento ideale per la crescita e la salute del bambino durante il suo primo anno di vita. È composto, infatti, da nutrienti fondamentali e nessun altro alimento è così adatto a far crescere bene un bambino, proteggendolo dalle malattie più comuni dell'infanzia (diarree, infezioni respiratorie ed urinarie, allergie, malattie infettive) e svolgendo un'importante azione protettiva nei confronti di obesità, ipertensione arteriosa, aterosclerosi, anemia, carie dentaria. Il latte materno è un alimento facilmente digeribile, per questo i bambini allattati al seno non soffrono quasi mai di stitichezza! Inoltre, soddisfa velocemente la fame e la sete del bambino e soprattutto è sempre pronto e alla giusta temperatura.

Composizione ed effetti
La composizione del latte materno varia in base a diversi fattori per rispondere il più possibile alle diverse esigenze del bebè. Alla fine della poppata, per esempio, il latte contiene un numero di proteine e grassi maggiore rispetto all'inizio, quindi il latte da acquoso diventa più denso e cremoso (più saziante). Naturalmente il cambiamento del latte avviene diversamente da mamma a mamma e quindi si può verificare che alcuni bambini ricevano quello di cui hanno bisogno in cinque minuti, altri in dieci minuti o più. Il bambino può passare da una mammella all'altra per soddisfare il senso di sete perché al latte concentrato di una mammella corrisponde il latte più acquoso dell'altra. Questa variabilità è un "optional" originale del latte materno differente in questo dal latte artificiale (sempre invariato nel gusto e nella concentrazione).
I nutrienti principali del latte materno sono:

  • le proteine: sono meglio digerite, di maggiore valore nutritivo, più adatte allo sviluppo, meno allergizzanti e con una funzione antinfettiva maggiore rispetto agli altri latti
  • gli zuccheri: per la maggior parte lattosio, che rappresenta un'ottima fonte di energia e inibisce la crescita di germi cattivi nell'intestino
  • i grassi: sono ben digeriti e per la maggior parte essenziali
  • i minerali: il latte umano è povero di minerali, ragion per cui al sesto mese di vita del bambino si suggerisce di integrare la sua alimentazione cominciando a svezzarlo; il contenuto in ferro, nonostante sia basso, è ben assorbito dall'intestino dei bambini
  • le vitamine: se la mamma esegue una dieta bilanciata il suo latte è in grado di soddisfare il fabbisogno del bambino per tutti i tipi di vitamine.

Lo sviluppo intellettivo del bambino
Nel latte materno c'è una maggiore concentrazione di acido docosaesanoico rispetto al latte artificiale. A questa sostanza lipidica è stato attribuito l'effetto di potenziare la funzionalità delle vie nervose. Quindi il sistema nervoso centrale dei bambini allattati al seno dovrebbe essere più ricco di acido docosaesanoico rispetto a quello dei bambini che sono allattati artificialmente. I primi, secondo alcuni studi, avranno una vista migliore e un quoziente intellettivo superiore. A questi studi è legato però un po' di scetticismo: sarebbe, infatti, l'ambiente e non solo la dieta a far sviluppare differenze tra il bambino allattato al seno e quello allattato con latte in polvere.

Che risparmio!
Allattare artificialmente comporta una spesa per la famiglia che si aggira intorno ai 900 euro nel corso del primo anno di vita del bambino. Oltre all'acquisto del latte, poi, ci sono da considerare le spese per acquistare gli accessori utili per allattare. L'allattamento al seno, invece, comporta una spesa inferiore che è sintetizzabile nelle aumentate esigenze alimentari della donna. Un altro punto a favore dell'allattamento al seno è la prevenzione "naturale" delle malattie materne e infantili: un risparmio notevole per la società e i servizi sanitari. Ma non sono solo gli aspetti economici dalla parte dell'allattamento al seno. Si pensi solo alla sua fruibilità del latte materno da parte del bambino: disponibilità a qualsiasi ora del giorno e della notte, sempre alla temperatura ideale, in casa e fuori.

La salute della mamma
Allattare al seno fa perdere i chili presi durante la gravidanza: i grassi accumulati durante la gestazione, infatti, sono utilizzati per produrre il latte. Alcuni studi, poi, documentano come l'allattamento al seno prevenga il tumore della mammella: il benefico effetto, però, è debole e si limita al tumore che insorge prima della menopausa. E ancora, l'allattamento al seno protegge la donna dall'osteoporosi della vecchiaia e in particolare da una sua complicanza: la frattura del collo del femore. Lo scheletro della donna si impoverisce durante l'allattamento per l'aumentato fabbisogno di calcio, tuttavia, a distanza di tempo dalla sospensione dell'allattamento al seno, la mineralizzazione ossea viene reintegrata.

Allattamento artificiale

Per allattamento artificiale si intende l'alimentazione del bambino con latte alternativo a quello materno. Oggi si riconosce che il latte umano è l'alimento ideale per il bambino nel suo primo anno di vita, quindi un latte non vale l'altro. Quando il latte materno, per qualche motivo, non è disponibile, si dovrà scegliere un latte la cui composizione è più vicina a quella del latte umano. Non è possibile riprodurre nel latte in polvere le caratteristiche di quello materno (dalle proprietà antiallergiche a quelle antinfettive), ma si può esigere che siano rispettati i requisiti nutrizionali fondamentali del latte materno.
Solo i latti che rispondono a questi requisiti, definiti "adattati", possono essere utilizzati per la nutrizione del bambino nei primi 4-6 mesi di vita, in assenza del latte materno.

Il latte di latteria (intero o diluito), per esempio, non è adatto per tutto il primo anno di vita del bambino perché comporta una serie di svantaggi: un carico di sali minerali eccessivo, un maggiore apporto di acidi grassi saturi (possibili responsabili di aterosclerosi), un maggiore rischio di anemia da carenza di ferro. Lo stesso dicasi per il latte di mucca. Dopo i sei mesi e fino alla fine del primo anno di vita del bambino, in assenza di latte materno, si utilizzeranno i cosiddetti "latti di proseguimento" che, a differenza di quelli utilizzati nei primi mesi, sono meno elaborati da punto di vista nutrizionale (la loro produzione quindi costa meno).

Preparazione ed offerta
Latti artificiali in polvere o liquidi? Entrambi sono validi. I primi durano a lungo e ingombrano poco, con i secondi si evitano eventuali errori di preparazione. In Italia sono più diffusi i latti in polvere, mentre quelli liquidi sono utilizzati soprattutto dagli ospedali.

Il latte in polvere va sciolto in acqua tiepida (in precedenza bollita) in modo che ogni 100 millilitri di latte contengano 13 grammi di sostanze disciolte. Questa concentrazione è l'ideale per una crescita ottimale: il latte non va addensato arbitrariamente nella convinzione di far crescere meglio il bambino (o più in fretta!). Quello che conta è di non lasciar cadere sistematicamente nel biberon un misurino più del dovuto. Se si ha l'impressione che il bambino mangerebbe di più, non si deve modificare la composizione del latte quanto piuttosto offrire al bebè poppate più abbondanti. Nell'allattamento artificiale, infatti, è compito della mamma incrementare gradualmente la quantità di latte quando nota che quello preparato fino a quel momento diventa insufficiente (se il bebè lo richiede vuol dire che ne ha bisogno). Se la concentrazione è esatta non ci saranno problemi di digestione. Anche l'orario della poppata deve essere elastico, quindi no agli orari rigidi. Per stare più tranquilla la mamma può preparare i biberon di latte un'unica volta al giorno, calcolando orientativamente le quantità che saranno necessarie: questi biberon possono essere conservati nel frigo anche 24 ore.

Dal latte materno al latte artificiale
Quando il passaggio dal seno al biberon si rende necessario, ma è sgradito, può essere utile che sia qualcun altro, e non la mamma, ad offrire il biberon al bambino (per esempio una nonna o il papà). Il cambiamento così è completo: del latte e di chi lo offre al bambino. Il rifiuto del biberon, comunque, non è un evento comune: capita spesso, infatti, che il bambino passi dal seno al biberon con facilità e rapidità proprio per la minor fatica nella suzione.

Allattamento misto

Se nelle prime settimane di vita del lattante la madre non ha latte a sufficienza o se questa situazione avviene a causa di brevi malattie o stress psichici, si completa la poppata carente al seno con quantità superiori di latte artificiale, ma solo se la carenza di latte è momentanea. Nel caso di una riduzione temporanea della portata lattea è utile aumentare il numero dei pasti, perché la suzione del bambino è un'eccellente stimolante della secrezione lattea, e assumere qualche medicamento che favorisce la produzione di latte.
Ecco un esempio per chiarire: la madre di un lattante di 3 mesi che pesa 5 chili e 600 grammi si accorge che il bebè alla fine del pasto piange dimostrando chiaramente di avere ancora fame. Dalla doppia pesata, eseguita almeno per un paio di giorni, risulta che la quantità di latte introdotto è in media 500 grammi al giorno. Il fabbisogno alimentare è invece 160 grammi x 5,6 chilogrammi, pari cioè a 900 grammi al giorno. La madre quindi alla fine di ogni pasto darà al proprio piccolo una quantità di latte in polvere tale da compensare il difetto del latte materno. In pratica il bambino dovrebbe introdurre 180 grammi per pasto, quindi 180 grammi per 5 pasti: quello che manca deve essere coperto da latte in polvere adattato.

Diverso il discorso quando si parla di bambini prematuri o neonati di peso molto basso. L'"unicità" del latte materno, l'immaturità funzionale dell'apparato digerente in questi bambini, la loro facilità alle infezioni intestinali, rendono particolarmente preziosa l'alimentazione naturale. Quindi anche se il bambino prematuro è assistito in ospedale la madre deve fare il possibile per mantenere viva la lattazione, estraendo meccanicamente il latte almeno 4 volte al giorno con un tiralatte. Avvicinare il bambino e stabilire un contatto precoce e molto utile: quando il bambino è portato al seno della madre la lattazione aumenta immediatamente.

I primi giorni dopo il parto

Dopo circa 2-3 giorni dal parto si verifica la “montata lattea”: a volte non si tratta di un evento improvviso e impetuoso come la donna si aspetta, ma progressiva e lenta tanto da creare dubbi nella mamma se il suo latte basterà al bambino. Questa situazione però, anche se comune, non pregiudica il successo dell’allattamento. Prima della montata lattea il seno produce già una piccola quantità di latte di grande valore per la nutrizione e la difesa del bambino: è un latte denso, cremoso chiamato colostro. Nonostante il suo colore giallastro si tratta di un ottimo primo latte, utile e sufficiente come unico alimento del bambino in quei primi giorni. Quindi è bene evitare di somministrare altri liquidi, per esempio acqua e zucchero o latte in polvere, in attesa della montata lattea perché non aiuta il bambino anzi ostacola il naturale avvio dell’allattamento materno.

Alla maggioranza dei bambini (i nati a termine di gravidanza, sani, con peso alla nascita superiore ai 2,5 kg) il solo latte della mamma è sufficiente a patto che si permetta al piccolo di poppare quando desidera: se ciò non avviene il bambino può essere insoddisfatto. Se la struttura ospedaliera non permette queste poppate frequenti fin dai primi giorni di vita, o se la mamma per qualche motivo non può garantire poppate frequenti, il bambino potrà richiedere qualche aggiunta di liquidi.

I neonati nelle prime 24 ore di solito dormono parecchio e succhiano poco, anche solo 2-3 volte, mentre tra le 24 e le 72 ore di vita diventano più esigenti e più affamati e vogliono succhiare spesso (a volte anche 13 volte al giorno). Che cosa deve fare la mamma? Prima di tutto se il bambino succhia spesso è perché ne ha bisogno e non per vizio, quindi non appena la mamma avrà un flusso di latte più abbondante sarà il bambino che “naturalmente” succhierà di meno. Queste poppate frequenti nei primi giorni, poi, sono fonte di esperienza sia per il bambino (che impara a succhiare meglio quando il seno è ancora morbido e il capezzolo ben sporgente) che per la madre (che non sa ancora molto sull’allattamento).

La poppata

L'elevata frequenza delle poppate nei primi giorni di vita consente non solo a madre e bambino di fare un'utile pratica in attesa della montata lattea, ma anche di anticipare la montata di 12-24 ore. La suzione infatti è il più potente stimolo alla produzione di latte. Succhiando il bambino induce nella mamma una risposta immediata (espulsione del latte già presente nella mammella) ed una più tardiva (induzione a produrre latte per le poppate successive). Quindi il bambino succhia sia per avere subito il latte sia per garantirselo per il futuro.

Il massaggio mammario

Il massaggio della mammella è utile per sbloccare il latte accumulatosi. Naturalmente più il bambino succhia, più latte tira fuori e meno se ne accumula. Quindi se il bambino è fin dall'inizio abile nel succhiare, la mammella continuamente svuotata difficilmente si ingorgherà. Il massaggio si può fare fin dal primo giorno dopo il parto per circa 2-5 minuti ogni volta, più volte al giorno a seconda del bisogno, preferibilmente prima di ogni poppata per facilitare l'assunzione del latte da parte del bambino. Si può massaggiare in maniera localizzata la mammella coi polpastrelli di 2-3 dita, imprimendo alla mano un movimento circolare sulla zona che sembra tesa e rigonfia di latte. Oppure mettere contemporaneamente le mani una sopra e una sotto all'areola, esercitando un massaggio circolare esteso a tutto il seno, muovendo le mani in maniera sincrona. Il massaggio, comunque, non deve essere troppo energico, né prolungato per evitare piccoli traumi alla mammella nonché arrossamenti e irritazioni.

La pulizia del seno

Il latte ha già da solo un sufficiente potere antibatterico, quindi una donna che esegue una periodica pulizia della propria persona non può trasmettere malattie al figlio attraverso il contatto pelle a pelle. Detergere di continuo il seno interferisce con l'orientamento olfattivo del bambino verso la fonte del nutrimento, infatti, secondo studi recenti, lavando una mammella si induce il neonato ad orientarsi verso l'altra. Anche per la pulizia del capezzolo e dell'areola dopo la poppata basterà asciugare, con una garza, il latte e la saliva residui.

Posizioni per allattare

Non esiste una posizione ideale per allattare il proprio bambino: la mamma può scegliere la posizione che in quel momento le sembrerà più comoda. La posizione più adottata è quella seduta con il bambino in braccio: la mamma così può avere un buon appoggio della schiena che le risparmia la contrattura dei muscoli dorsali.

Uno sgabello sotto i piedi, poi, le permette di rilassare anche la muscolatura addominale.

Alcune donne scelgono la posizione sdraiata, a letto, con il bambino di fianco, soprattutto se sono affaticate o se accusano dolore a causa, per esempio, dei punti del taglio cesareo.

Per agevolare l'uscita del latte, la mamma dovrebbe variare la posizione nelle diverse poppate: quando si abitua ad allattare sempre nella stessa posizione il capezzolo viene sollecitato dalla presa del bambino sempre nella stessa maniera e viene così prediletto lo svuotamento delle stesse parti della mammella. Anche la mammella offerta per prima al bambino, cioè quella più "strapazzata", potrebbe essere diversa a ogni poppata. Variando la posizione del bambino a ogni poppata la pressione viene esercitata su parti diverse dell'areola, dando così modo alle altre parti di riposarsi.

In ogni caso la mamma deve avere una posizione comoda per evitare dolorose contratture muscolari, per esempio aiutandosi con alcuni cuscini. Se la mamma è seduta dovrebbe fare in modo che un braccio sostenga il bambino mentre con l'atro favorisce l'ancoraggio del bambino al seno.

Quando e per quanto allattare

Il bambino piange anche perché ha fame. All'inizio sarà un po' difficile distinguere un pianto da dolore da un pianto per fame, me con il tempo la mamma capirà la differenza. Comunque se il bambino non piange non significa che non ha fame. Lo stato di irrequietezza, i movimenti della mano verso la bocca a poca distanza dal pasto precedente, i pugni chiusi, possono costituire il segnale che il bambino invia ancora prima di piangere o in sostituzione del pianto per far capire che per lui è arrivata l'ora della poppata.

Certamente non è opportuno stabilire degli orari rigidi per i pasti, ma allattare il bambino "a richiesta", senza farlo attendere eccessivamente, perchè non sia troppo affamato e non si attacchi in modo frenetico, anche al fine di prevenire ingorgo mammario e ragadi. È opportuno, però, tranne che nelle prime due settimane, mantenere intervalli superiori alle due ore per non rischiare che insorgano nel bambino "abitudini" che possano alla lunga divenire difficili da sopportare per la mamma.

Ma quanto deve durare la poppata? Non si può stabilire una durata della poppata che sia ottimale per ogni bambino. Il tempo che intercorre tra il momento in cui il neonato comincia a succhiare e quello in cui il latte arriva veramente presenta delle variazioni: è lungo nei primi 3-4 giorni dopo il parto mentre si accorcia dopo la montata lattea. Ci sono dei cambiamenti anche per il flusso: nei primi mesi della poppata è più rapido mentre in seguito vi è un rallentamento. Inoltre la poppata rappresenta per il neonato un momento di intenso contatto con la madre, che è fonte di rassicurazione e piacere. L'apporto di latte non è solo legato alla durata della poppata, ma anche alla rapidità del flusso, quindi non è il caso di svegliare il bambino se si addormenta durante la poppata se non ha mangiato abbastanza: si sveglierà prima per chiedere la poppata successiva.

La mamma può temere che il bambino non mangi a sufficienza perché appare insoddisfatto dopo la poppata, perché piange spesso, perché succhia a lungo o molto frequentemente. Ma come fare a stabilire se il latte gli basta?

Gli unici strumenti affidabili per sapere che tutto sta procedendo bene con l'allattamento sono:

  • la valutazione del peso: dopo il calo, il peso del piccolo dovrebbe tornare a quello iniziale entro 10-14 giorni. Tranne casi particolari, è inutile la "doppia pesata", prima e dopo la poppata, è più razionale pesare il bambino una volta alla settimana, nudo, prima del pasto, sempre alla stessa ora, per controllarne la crescita
  • -la quantità di urine e feci emesse: nelle prime settimane di vita un neonato che si scarica almeno 4 volte al giorno e che ha almeno 6 pannolini bagnati al giorno sicuramente si alimenta a sufficienza
  • nella mamma, un valido indicatore di buona produzione lattea è la comparsa, dopo 2-3 settimane di allattamento, del riflesso di eiezione che si manifesta con una sensazione di "formicolio" o di emissione di latte appena prima di allattare.

Le aggiunte di latte artificiale, se non necessarie, sono sempre sconsigliate, ancor più nelle prime settimane, perché, riducendo il tempo in cui il seno viene stimolato, cala la produzione di latte: la suzione è, infatti, il principale fattore che ne favorisce la formazione. Il biberon va offerto al bambino, una volta al giorno, dopo le prime sei settimane, per acqua o tisane in modo da abituarlo a succhiare anche alla tettarella.

Talvolta, il latte materno deve essere tolto, come nel caso di un ingorgo mammario, o qualora la mamma decida di continuare a somministrare il suo latte anche se non può essere presente per allattare (per esempio perché riprende a lavorare). In questi casi si può ricorrere alla "spremitura" manuale del seno o si può usare il tiralatte. Il latte materno può essere conservato usando contenitori di plastica, in frigorifero per non più di 24 ore o nel frezeer per non più di tre mesi. Va scongelato in acqua fredda o nel frigorifero, mai a temperatura ambiente.

Alcuni fastidi

Molte mamme, durante le prime due settimane di allattamento, avvertono, all'inizio della poppata, un lieve fastidio, una specie di pizzicotto: è un inconveniente che dura alcuni minuti, dipende da un'irritazione del capezzolo e va considerato un fenomeno normale, che sparirà quando il flusso di latte sarà bene avviato. Quando infatti la donna avrà acquistato piena fiducia nella propria capacità di allattare il bambino, allora il dolore se ne andrà. Ci sono poi altri inconvenienti, più o meno fastidiosi per la mamma, che è bene conoscere per una corretta prevenzione o cura. Vediamone alcuni.

Ragadi
Le ragadi del capezzolo sono fessurazioni che, per la loro dolorosità, rappresentano un serio ostacolo al proseguimento dell'allattamento.
La formazioni delle ragadi può essere condizionata da fattori diversi:

  • un attacco scorretto al capezzolo: il bambino mentre succhia dovrebbe tenere la bocca bene aperta e introdurre non solo il capezzolo, ma anche l'areola attorno; la madre invece farebbe bene a sorreggere con le dita la mammella per facilitare la suzione da parte del figlio
  • il mantenimento della stessa posizione durante le diverse poppate
  • un eccessivo sforzo del bambino durante la suzione secondario a un ingorgo mammario che andrà quindi opportunamente risolto
  • l'uso di reggiseni troppo piccoli, che finiscono per avere la funzione di costringere il seno più che di contenerlo.

Ci sono poi degli accorgimenti per evitare l'insorgenza delle ragadi, che hanno in comune l'obiettivo di rassodare il capezzolo, ossia la cauta esposizione al sole delle mammelle durante la gravidanza e la rinuncia a lavarsi con il sapone dopo la poppata (perché secca la pelle), limitandosi a detergere la zona con acqua e garze di cotone.
Fare attenzione a mantenere ben asciutte areola e capezzolo tra una poppata e l'altra. Per questo, dopo la poppata, è bene asciugare bene e lasciare il seno scoperto per alcuni minuti per favorire la cicatrizzazione.
Poiché l'allattamento al seno in presenza di ragadi è doloroso, sarà bene dare al bambino prima la mammella meno dolente: quando il bambino si accosterà alla seconda mammella, non dovrà succhiare con troppa forza, perché già in parte sazio.

Ingorgo mammario
L'ingorgo mammario si può manifestare quando c'è più latte di quanto serve al bambino o se l'avvio dell'allattamento al seno per qualche motivo è ritardato troppo. E ancora, se il bambino non si attacca bene al seno (quindi non svuota bene la mammella) o se la mamma pone dei limiti alla lunghezza delle poppate (perché le ragadi le fanno male).
Per alleviare la sensazione dolorosa e per sbloccare la fuoriuscita del latte si possono adottare alcune procedure, per esempio:

  • applicazione locale di impacchi caldi
  • docce d'acqua tiepida
  • massaggi che ammorbidiscano le zone indurite favorendo l'apertura dei dotti ostruiti
  • stimolazione del riflesso di emissione del latte
  • spremitura manuale del seno
  • allattare più spesso.

Mastite
Si tratta dell'infiammazione della ghiandola mammaria che colpisce le donne soprattutto verso la seconda-terza settimana dopo il parto. Le cause possono essere diverse: un ancoraggio inadeguato al seno materno da parte del bambino, un'eccessiva pressione degli indumenti sul seno, una frequenza troppo bassa delle poppate o una suzione inefficace. I sintomi somigliano molto a quelli di un'influenza: malessere generale e febbre, tensione, calore e arrossamento della mammella. Per curare la mastite si possono usare impacchi caldo-umidi, assumere farmaci antidolorifici e svuotare ripetutamente il seno continuando ad allattare: in questo modo si evita la stasi e il protrarsi dell'infezione.
Di solito la mastite non rappresenta un pericolo per la salute del lattante, perché l'infezione è al livello del tessuto che si interpone tra gli alveoli e i dotti e non arriva a compromettere il latte. Se la mamma affetta da mastite non riesce ad offrire al bambino la mammella malata, è consigliabile allora il ricorso alla spremitura del latte e l'eventuale ripresa dell'allattamento direttamente al seno quando, passato qualche giorno, la mammella non sarà più infiammata né ingorgata di latte.

L'alimentazione della mamma

La donna che allatta deve far fronte a una duplice serie di richieste nutrizionali, per sé e per il suo bambino. È quindi opportuna un'alimentazione tale da consentirle non solo di continuare la sua attività di base, ma anche di provvedere a un'adeguata produzione di latte. Produrre latte significa innanzitutto spendere energia. La donna che dà al suo bambino 850 millilitri di latte al giorno richiede un surplus energetico pari a 750 calorie, che si aggiungono a un fabbisogno di base di 2000 calorie. Non occorre che la donna, per essere pronta ad allattare, si sforzi di mangiare più del desiderato, per guadagnare inutilmente peso! L'allattamento al seno dovrebbe avere proprio un effetto contrario, dimagrante, aiutando la donna a bruciare quei 2-4 chili di adipe presi durante la gravidanza e consentendole un più rapido recupero della linea.

Più o meno tutti i cibi introdotti dalla mamma modificano le caratteristiche organolettiche del latte, ossia il suo sapore, l'odore, il gusto, il colore. Questa è una caratteristica positiva e generalmente gradita al bambino; alcuni cibi tuttavia possono forse causare nel lattante dei disturbi, per lo più lievi, per esempio irrequietezza, mal di pancia, aumentata emissione di feci. Questo effetto nocivo dei cibi assunti dalla madre è un fatto assolutamente individuale e quindi non vale la pena di seguire in partenza diete rigide, strette, penalizzanti. Se però la mamma nota che un certo alimento (ortaggio o frutto che sia) può dare fastidio al bambino allora farà bene ad eliminarlo.

Per prudenza si raccomanda di moderare l'assunzione di bevande alcoliche (non più di un bicchiere di vino ai pasti principali o in alternativa mezzo litro di birra al giorno) o contenenti caffeina (non più di 2-3 tazzine al giorno) e il consumo di sigarette (non più di 5-10 sigarette al giorno: meglio nessuna per la salute di mamma e bambino).

Consigli sull'uso dei farmaci durante l'allattamento

Più del 90% dei medicamenti assunti dalla donna si ritrova nel latte che essa produce; sul piano quantitativo, tuttavia, raramente la percentuale del farmaco passata nel latte supera il 5% della dose somministrata alla madre: questa percentuale non è sufficiente per dare effetti farmacologici significativi nel lattante. Se passa nel latte, bisogna verificare se il farmaco in questione ha caratteristiche tali da essere assorbito dall'intestino del bambino e da ultimo se ha effetti collaterali.

Possiamo distinguere i medicinali in tre categorie:

  • Sostanze la cui pericolosità per il lattante è stata chiaramente dimostrata o ragionevolmente ipotizzata dalla letteratura scientifica. Si tratta di sostanze incompatibili con l'allattamento, che va quindi interrotto finché questi farmaci sono assunti dalla madre
  • Sostanze di cui non si hanno sufficienti informazioni per poterle definitivamente catalogare come pericolose o sicure e che andrebbero somministrate con cautela, sorvegliando il bambino. A questa categoria appartengono per esempio i farmaci attivi sul sistema nervoso (tranquillanti, antidepressivi e antiepilettici), che potrebbero sedare il lattante, con difficoltà alimentari e sonnolenza. In presenza di questi sintomi sarà necessario sospendere l'allattamento
  • Sostanze sicure perché non secrete nel latte materno o non assorbite dal lattante o, qualora assorbite, comunque non dannose per il bambino. A questa categoria normalmente appartiene gran parte degli antibiotici. Prima di assumere un farmaco la mamma deve capire, con l'aiuto del proprio medico, in quale delle tre categorie di rischio il farmaco possa essere compreso. Se un farmaco è pericoloso e si deve assumerlo solo per una o poche volte, si potrà saltare una poppata al seno e sostituirla con latte materno spremuto in precedenza o con latte artificiale; se il farmaco è pericoloso e la donna ne ha assoluto bisogno in maniera continuativa, l'allattamento andrà interrotto.

I momenti di crisi

L'interruzione dell'allattamento al seno può avvenire in seguito alla perdita del latte o per la presenza di latte acquoso, ma dietro queste cause ci possono essere delle motivazioni diverse, per esempio: la priorità data dalla donna agli impegni di lavoro e di studio, il desiderio di recuperare al più presto il proprio ruolo sessuale, problemi medici con il bambino che richiedono l'ospedalizzazione, problemi medici che coinvolgono la madre, per esempio la mastite. Queste situazioni generano ansia, preoccupazione e depressione, le vere cause dell'interruzione dell'allattamento. La tentazione di risolvere il momento di crisi ricorrendo all'allattamento dal biberon è forte. Le mamme in difficoltà in questo caso dovrebbero però mettersi in contatto con chi è in grado di dare loro un sostegno pratico ed emotivo. Questo aiuto può arrivare dal personale sanitario o da amiche esperte in tema di allattamento o, ancora, da associazioni di donne.

Il ricorso all'allattamento artificiale andrebbe evitato per quanto possibile perché può compromettere ulteriormente l'allattamento al seno. Il bambino infatti si abitua presto a succhiare con poco sforzo dal biberon. Ma, meno il bimbo succhia al seno e meno stimola la produzione di latte: un circolo vizioso che crea le difficoltà per l'allattamento naturale. Nei casi in cui è inevitabile ricorrere all'allattamento misto è comunque sempre bene far precedere l'allattamento materno. Se avviene il contrario, infatti, l'appetito del bebè può venire soddisfatto troppo presto dal latte del commercio e lui può non volere più attaccarsi al seno.

Le ansie della mamma

Spesso le mamme si preoccupano di avere un latte poco nutriente e poco adatto alle esigenze del bambino, impressione il più delle volte sbagliata. Molte donne però vivono, almeno all'inizio, questa esperienza come una prova da affrontare quotidianamente e che di volta in volta va superata. Questa mancanza di fiducia e l'ansia che ne deriva sono le vere responsabili dell'insuccesso dell'allattamento. Ma l'incapacità ad offrire il latte non corrisponde all'incapacità di produrlo: il latte infatti si può trovare nella mammella ma non viene emesso a causa della tensione della mamma. L'emissione del latte è sicuramente favorita dalla fiducia e dalla calma, mentre una donna sotto stress, in ansia e affaticata si può impegnare ad allattare senza risultato, in quanto il suo stato d'animo non si concilia con la naturalezza dell'emissione del latte.

In ospedale…
L'ospedale disturba i rapporti tra mamma e figlio: la donna passa infatti le ore del travaglio in un ambiente in cui si trova spesso spaesata, a volte non vicino al marito e ai familiari, tra gente per lo più estranea. Durante il ricovero diversi fattori tendono ad incrementare l'ansia materna limitando la possibilità del bambino di succhiare quando più ne ha voglia. Al contrario la donna dovrebbe poter stare con il suo bambino nella stanza quando e per quanto tempo vuole (per facilitare il legame affettivo). Il bambino in questo caso potrà avere a disposizione il seno materno quando vuole senza adeguarsi alle rigide regole del nido. L'ospedale però ha ancora molte difficoltà a dare una risposta concreta a questi bisogni della madre e del bambino.

Il taglio cesareo
Dopo un parto difficile, come quello cesareo, la mamma è spesso provata per allattare subito (nelle prime ore dopo il parto). Soprattutto se non è stata preparata in precedenza sull'eventualità di praticare un cesareo, la mamma subisce un trauma psicologico notevole: è bene però che non passi troppo tempo prima di attaccare al seno il neonato. Nella maggior parte delle situazioni la mamma è già pronta ad allattare entro 6-12 ore dal parto, anche se le occorrerà un po' di aiuto da parte del personale ospedaliero. Nella donna che subisce il taglio cesareo si ricorre a un trattamento antidolorifico, almeno nei primi due giorni: singole somministrazioni dei comuni analgesici, anche via endovenosa o intramuscolare, non danno assolutamente effetti negativi sul lattante.

Problemi con il bambino
Ci sono alcuni problemi piuttosto comuni nel lattante che non devono allarmare i genitori. Facciamo alcuni esempi:

  • il raffreddore: per i neonati è già difficile respirare con la bocca, pensate a quanto lo sia utilizzare la bocca sia per mangiare che per respirare, ossia quando il naso si ottura (in caso di raffreddore). Il bambino può innervosirsi, piangere e rifiutarsi di succhiare quindi per agevolarlo si potrebbe prima della poppata pulirgli delicatamente le narici con un fazzoletto di stoffa e instillargli nel nasino alcune gocce di soluzione fisiologica in commercio
  • diarrea: è inconsueto che un bambino allattato al seno soffra di una vera diarrea, comunque, se succedesse, non c'è ragione di preoccuparsi. Continuate ad allattare perché il latte materno aiuta il bambino a difendersi dai germi responsabili di gastroenteriti e riduce il rischio di disidratazione
  • rigurgito: è un fenomeno comune tra i lattanti e non c'è motivo di preoccupazione finché il bambino si nutre e cresce di peso.

Lo sport e l'allattamento

Molte donne desiderano fare attività sportiva dopo la gravidanza e il partoper riprendere più in fretta la propria piena forma fisica. Se la donna a partire dalla fine del primo mese dopo il parto inizia un'attività fisica regolare (per esempio ginnastica, bicicletta o jogging) e di media intensità non ci sono effetti negativi sulla lattazione e non risultano modificati né il volume né la composizione del latte prodotto. Quando l'attività sportiva risulti superiore, il contenuto di acido lattico nel latte umano arriva anche a quadruplicare come risultato dello sforzo in condizioni di debito d'ossigeno: l'eccesso di acido lattico del latte materno non fa male al neonato, ma può ridurre il gradimento del latte. Nel caso la mamma constatasse che il latte prodotto dopo un'attività fisica superiore proprio non piace al bambino, potrà sempre offrire del latte spremuto prima dello sforzo, gettando via il latte spremuto dopo lo sforzo, ricco di acido lattico.
Comunque l'acido lattico non è un composto tossico: è infatti una sostanza normalmente presente nell'organismo umano e in particolare nell'intestino del lattante, dove anzi viene prodotta per azione della normale flora batterica. Piuttosto che scartare il latte, quindi, bisognerebbe dare tempo al bambino di abituarsi al gusto diverso conseguente all'aumentata attività fisica.

Quando iniziare lo svezzamento

Lo svezzamento consiste nell'introduzione nell'alimentazione del bambino di pasti diversi dal latte. È un momento delicato perché il bambino dovrà abituarsi a staccarsi gradualmente dal seno materno, a non considerarlo più un'abitudine. Il periodo ideale per iniziare lo svezzamento è il periodo intorno al sesto mese di vita del bambino per motivi sia fisiologici sia psicologici. A questa età il bambino ha raggiunto la maturità delle funzioni digestive, è curioso e disponibile alle novità, mentre in seguito comincerà a diventare più diffidente, meno incline ad esperienze gustative nuove.
I cibi solidi, per esempio i cereali, la carne e il formaggio non sono adatti alla sua funzione renale ancora immatura. Inoltre, possono rappresentare una fonte di sostanze allergizzanti che potrebbero passare attraverso la parete intestinale, che nei primi mesi di vita del bambino è particolarmente permeabile, col rischio di scatenare allergie nel bambino. Inoltre i cibi solidi sono poveri di grassi, di cui il lattante ha invece molto bisogno. In una minestrina, per esempio, si trova solo il 30 per cento delle calorie sotto forma di grassi, mentre nel latte materno ben il 54 per cento. I cibi solidi, essendo a più alta densità energetica, possono, se messi nel biberon, determinare un'iperalimentazione del bambino e un eccessivo aumento di peso, che nei soggetti predisposti può rappresentare un fattore di rischio di diventare obesi nelle età successive.

Naturalmente i tempi e i modi dello svezzamento dipendono dagli usi e dai costumi della popolazione e dalle caratteristiche culturali del nucleo familiare, quindi meglio non attenersi a schemi rigidi o a tabelle obbligate, ma è opportuno tenere in considerazione le norme generali per evitare alcuni errori:

  • non iniziare lo svezzamento prima del quarto-sesto mese del piccolo
  • l'accettazione e la tolleranza di un alimento da parte del bambino non è sinonimo di salute (anche in assenza di disturbi evidenti)
  • se il bambino rifiuta il cibo è meglio non insistere troppo e riprovare più avanti (lo svezzamento deve essere un motivo di piacere!)

Non esiste un momento preciso per smettere di allattare. Oggi molte donne portano avanti un allattamento di lunga durata, fino alla fine del secondo anno di vita e oltre: una scelta che, nel rispetto delle esigenze individuali e sociali della mamma e del piccolo, può avere implicazioni psicologiche positive sullo sviluppo di alcuni bambini. Comunque mamma e bambino dovrebbero decidere in libertà, senza volere stabilire a priori dei tempi per smettere di allattare e allo stesso tempo senza essere condizionati da pregiudizi diffusi ma privi di fondamento sui limiti dell'allattamento.

La relazione madre figlio

Come il bambino prova piacere nel succhiare il seno materno, così la mamma prova piacere ad essere fonte di gratificazione per il figlio e avverte una sensazione di benessere fisico. La mamma inizia a conoscere il neonato, toccandolo, tenendolo vicino, guardandolo e rivolgendosi a lui con voce dolce; il bambino si calma quando viene appoggiato sulla spalla per effetto del calore del corpo e del rassicurante battito del cuore. Inoltre il piccolo oltre a seguire con lo sguardo i movimenti della mamma, è capace fin dal primo giorno di rispondere alla voce dell'adulto, anche senza vederlo, esprimendosi con i propri movimenti o con il pianto (la mamma inizia a capire se il piccolo piange per rabbia o per fame, per frustrazione o per dolore). Di richiamo per l'adulto è poi lo stesso aspetto fisico del bambino, occhi e testa grandi, guance rotonde e in evidenza, alta fronte sporgente.

Latte umano e contatto
La specie umana è "una specie a contatto continuo", ossia una specie il cui piccolo, completamente dipendente dalla mamma, rimane vicino a lei per frequenti poppate rese necessarie dal contenuto relativamente basso di proteine (ma anche di grassi e di sali) del latte di donna. Ecco dunque spiegata "biologicamente" la vicinanza continua tra madre e bambino, a prescindere dalle implicazioni di ordine psicologico. Quanto frequenti debbano essere le poppate nessuno può dirlo con esattezza, sono troppi infatti gli elementi che mascherano i ritmi naturali. La cultura, le convenzioni sociali e la famiglia hanno il loro peso. Le madri dei paesi in via di sviluppo, per esempio, che dormono accanto ai loro bambini e li portano al collo durante i loro spostamenti, forse rappresentano il modello per eccellenza della specie umana intesa come specie a contatti continui. Queste donne non consentono ai loro bambini di piangere e li attaccano al seno ogni volta che i loro piccoli ne manifestano il desiderio. La donna italiana, per esempio, anche se non può comportarsi come la donna del terzo mondo, può comunque capire l'importanza di sincronizzare i propri ritmi sociali a quelli del bambino, lasciando la precedenza alla natura piuttosto che all'applicazione di rigidi schemi di interazione e nutrizione.